H&M e i Gemelli Digitali: Rivoluzione o Controversia nel Mondo della Moda?

H&M e i Gemelli Digitali: Rivoluzione o Controversia nel Mondo della Moda?

H&M ha avviato un progetto che segna un passaggio importante nella digitalizzazione dell’industria della moda: la creazione di gemelli digitali per 30 modelli reali, con l’obiettivo di utilizzarli in campagne pubblicitarie e contenuti social. Si tratta di avatar generati tramite intelligenza artificiale, capaci di replicare in modo sorprendentemente fedele i tratti fisici e comportamentali delle persone da cui derivano. Un’iniziativa che apre nuove possibilità creative, ma che solleva al contempo domande rilevanti sull’evoluzione del lavoro nel settore e sui diritti connessi all’identità digitale.

Tecnologia e identità: come nascono i gemelli digitali

La creazione di un gemello digitale non è un semplice processo di rendering. Richiede la raccolta meticolosa di immagini da molteplici angolazioni, in condizioni di luce e movimento differenti, per restituire un risultato che tenga conto di elementi come i dettagli della pelle, i nei, le micro-espressioni e i pattern di movimento. H&M si è affidata alla tecnologia della svedese Uncut per dare vita a rappresentazioni estremamente realistiche, tanto che — come ha raccontato la modella Vilma Sjöberg — persino chi le è vicino fatica a distinguere una sua foto reale da una generata.

Questi avatar non mirano a sostituire completamente il lavoro dei modelli, ma ad affiancarlo, ampliando il ventaglio di possibilità visive in fase di progettazione delle campagne. In un settore dove il time-to-market è sempre più ridotto e la coerenza visiva è un fattore strategico, strumenti di questo tipo possono giocare un ruolo concreto.

Il ruolo del “prompt persona”: perché ha funzionato

A rendere particolarmente efficace il progetto è la scelta di non utilizzare modelli virtuali generici, ma di costruire repliche digitali a partire da persone reali, ciascuna con la propria storia, il proprio stile, la propria presenza. È qui che entra in gioco il concetto di “prompt persona”, ovvero un insieme di istruzioni che guida l’intelligenza artificiale nella simulazione di un’identità precisa.

Il prompt non si limita a generare un’immagine statica, ma fornisce contesto, tono, attitudine. Imposta il come, non solo il cosa. E proprio questo dettaglio sembra essere alla base del successo dell’iniziativa: un avatar digitale che agisce e comunica in modo coerente con l’identità del modello a cui si ispira ha maggiori probabilità di risultare credibile, riconoscibile e, in qualche misura, “umano”.

Questo approccio può essere letto anche come un’estensione del lavoro che chi si occupa di branding e comunicazione fa ogni giorno: definire una personalità coerente, distinguibile, che si possa rappresentare in molteplici contesti mantenendo intatta la propria voce.

Trasparenza e diritti: un modello da osservare con attenzione

H&M ha dichiarato di voler mantenere un approccio trasparente e rispettoso, garantendo che i modelli conservino i diritti di utilizzo delle proprie repliche digitali. Ogni uso dell’avatar, anche da parte di altri brand, sarà vincolato all’approvazione e prevederà un compenso, negoziabile con gli agenti dei modelli. In sostanza, ogni apparizione del gemello digitale sarà trattata come un ingaggio a tutti gli effetti.

Le immagini saranno inoltre accompagnate da una filigrana che ne indicherà l’origine sintetica, in linea con le policy attuali di piattaforme come Instagram e TikTok. Un elemento importante per non confondere i contenuti reali con quelli generati e per stimolare una riflessione sull’uso dell’intelligenza artificiale nella comunicazione visiva.

Le professioni creative nell’era della replica

Se da un lato il progetto rappresenta un esempio interessante di coesistenza tra tecnologia e lavoro umano, dall’altro pone l’attenzione su un equilibrio ancora fragile. L’adozione di gemelli digitali, per quanto regolamentata, ha inevitabili ricadute su figure professionali che tradizionalmente lavorano nelle produzioni fotografiche: fotografi, truccatori, stylist, tecnici di set.

Le preoccupazioni espresse da sindacati e associazioni del settore non riguardano solo la sostituzione, ma la progressiva marginalizzazione del lavoro umano in ambiti dove il valore aggiunto risiede proprio nella sensibilità, nella capacità di relazione, nell’intuizione creativa. È un discorso che tocca direttamente anche chi opera nel marketing: l’efficienza generata dall’IA può diventare un’occasione per riscrivere processi e modalità di lavoro creativo, andando ad ampliare e sfaccettare il linguaggio visivo dei brand.

Una trasformazione che riguarda tutti

H&M non è l’unica realtà a esplorare l’uso dell’AI nella comunicazione. Anche marchi come Levi’s o Hugo Boss stanno sperimentando strumenti simili, spinti dalla necessità di innovare in un mercato saturo e iper-visivo. La vera questione, tuttavia, non è tanto chi ci arriverà prima, ma come ci arriverà.

Il futuro del marketing nella moda — e in molti altri settori — sarà sempre più interconnesso con tecnologie generative, e questo impone un ripensamento dei modelli di produzione, dei diritti d’autore, delle metriche di qualità. Ogni contenuto visivo, ogni scelta di rappresentazione, diventa anche una dichiarazione di intenti sul ruolo che diamo alla creatività, al lavoro e alla relazione tra i brand e le persone.

L’iniziativa di H&M dimostra che l’adozione dell’intelligenza artificiale può avvenire anche con criteri di responsabilità e dialogo. Ma suggerisce anche che la vera innovazione, oggi, non è solo tecnologica: è nel modo in cui integriamo questi strumenti nei processi esistenti, senza dimenticare il valore umano che li ha generati.

In un contesto dove tutto può essere simulato, modellato e replicato, ciò che diventa distintivo è la capacità di dare forma a relazioni autentiche, anche attraverso linguaggi nuovi. Non per resistere al cambiamento, ma per abitarlo con consapevolezza.

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