Dalla SEO all’AIO: come l’AI sta trasformando la content strategy B2B
Alla fine di gennaio 2025, come Osservatorio Italiano Commercio Elettronico per le PMI (OICE), abbiamo presentato una ricerca approfondita sull’impatto che l’Intelligenza Artificiale sta avendo nel comportamento dei consumatori in ambito B2C. Già allora avevamo identificato e anticipato i primi segnali di un cambiamento che oggi sta assumendo le dimensioni di una trasformazione paradigmatica: la transizione da un modello tradizionale di ricerca basato sui motori di ricerca classici, verso un nuovo paradigma dove assistenti intelligenti e modelli conversazionali AI prendono il ruolo di intermediari privilegiati nella relazione tra utenti e informazioni.
È in atto un cambiamento profondo e sistemico, con implicazioni strategiche che nessuna azienda, indipendentemente dal settore di appartenenza, può più permettersi di ignorare. Negli ultimi anni stiamo assistendo a un cambiamento radicale nel modo in cui le informazioni vengono cercate e fruite nel B2B. Se prima l’obiettivo dei content marketer era ottimizzare per gli utenti umani (e per i motori di ricerca tradizionali), ora si profila una transizione verso contenuti pensati per le intelligenze artificiali. In altre parole, l’audience primaria dei contenuti B2B non sono più solo le persone, ma anche i Large Language Model (LLM) – ovvero gli assistenti AI come ChatGPT, Claude, Bard, Perplexity e altri. Questo cambiamento di focus, dal “lettore umano” al “modello AI”, richiede un ripensamento delle strategie di content marketing e SEO tradizionali.
Come cambia il comportamento di ricerca nel B2B
Studi recenti indicano che quasi 9 buyer B2B su 10 utilizzano l’AI generativa almeno una volta durante il processo di acquisto. Forrester stima addirittura che fino al 90% dei decision-maker B2B impiega motori di ricerca conversazionali come ChatGPT, Claude, Perplexity o il nuovo Gemini di Google per ricercare soluzioni, confrontare opzioni e guidare le decisioni di acquisto. In altre parole, per una quota sempre maggiore di aziende, il punto di partenza non è più Google, ma un assistente AI in grado di fornire risposte immediate e contestuali. Questo trend non riguarda solo i più giovani o le aziende tech: sta diventando universale in tutti i segmenti B2B, segno di un cambiamento strutturale nel modo in cui le informazioni per gli acquisti vengono raccolte. I buyer spendono ormai la maggior parte del tempo in ricerca autonoma (oltre l’80% del percorso avviene senza interazione con i venditori secondo 6Sense) e l’AI generativa si è affermata tra le prime fonti di informazione self-service assieme a siti dei vendor e motori di ricerca tradizionali.
Un forte motore di questa adozione è l’efficienza: l’87% dei buyer che usano l’AI afferma che li aiuta a ottenere risultati migliori rendendo la ricerca più rapida ed efficace. In pratica, con gli assistenti AI, i team di acquisto possono esplorare un ampio ventaglio di opzioni in meno tempo, riducendo il bisogno di scaricare white paper o attendere demo. Inoltre, l’ingresso massiccio di Millennials e Gen Z tra i decision-maker (si stima saranno ~65% entro il 2025) porta con sé abitudini di ricerca digitale già forgiate nell’uso di chatbot AI in ambito consumer. Il risultato è un cambiamento di mindset: il buyer B2B moderno si aspetta risposte istantanee e personalizzate alle sue domande, e le cerca direttamente dalle intelligenze artificiali invece che tramite ricerche manuali.
In pratica pongono domande al chatbot per definire meglio i requisiti interni (“Abbiamo davvero bisogno di una soluzione ERP completa o basterebbe un modulo CRM integrato?”) e per fare confronti diretti tra alternative (“Quali differenze ci sono tra la piattaforma X e Y per gestione cloud?”). Questa fase dialogica con l’AI aiuta il buyer a raffinare da subito la propria lista di opzioni, ancor prima di parlare con qualsiasi commerciale umano.
Alcuni pattern d’uso ricorrenti emersi da articoli e forum professionali includono:
- Shortlist automatica di vendor: i buyer chiedono all’AI di elencare i migliori fornitori in una certa categoria, spesso con filtri specifici. Esempio: “Quali sono le migliori piattaforme di HR software per aziende 500-1000 dipendenti?”. ChatGPT o Perplexity forniscono subito un elenco mirato di vendor rilevanti, spesso 5–10 nomi con descrizione, offrendo una base di partenza oggettiva. Questo sostituisce le ricerche manuali su Google seguite dalla navigazione su ciascun sito.
- Comparazione di prodotti e funzionalità: dopo aver individuato alcuni nomi, i buyer utilizzano l’AI per confrontare in dettaglio soluzioni concorrenti. Possono ad esempio chiedere: “Confronta la soluzione di data analytics di Vendor A con quella di Vendor B in termini di feature di BI, scalabilità cloud e costi di licenza.” L’AI ricapitola le caratteristiche di entrambe, mettendo in luce vantaggi e svantaggi relativi. Nel caso dell’esperimento MarTech, ChatGPT Search ha fornito per ciascun fornitore di software supply chain “un’analisi dettagliata di punti di forza e debolezza, completa di citazioni alle fonti”, cosa che ha permesso al buyer di ridurre rapidamente la rosa a due opzioni migliori. Questo tipo di risposta integrata supera la classica SERP di Google, dove al massimo si troverebbe un singolo articolo comparativo per volta.
- Approfondimenti da community e recensioni: gli assistenti AI spesso aggregano informazioni da community online e database di recensioni. Ad esempio, per un software DevOps l’AI potrebbe includere nel suo responso citazioni da discussioni Reddit di sviluppatori o da recensioni su G2/Gartner Peer Insights. In questo modo il buyer ottiene in un’unica risposta sia dati oggettivi (feature, prezzo) sia feedback utenti (customer voice), senza dover separatamente consultare forum o case study. Questa sintesi multi-sorgente rende la due diligence molto più efficiente e trasparente.
- Chiarimento dei requisiti e scenari d’uso: un ulteriore pattern è usare l’AI come consulente preliminare per capire meglio il problema da risolvere e i criteri di scelta. I buyer possono testare prompt del tipo: “Quali sono i fattori chiave da considerare nell’acquisto di un software di cybersecurity per una PMI?” oppure “Meglio una soluzione on-premise o SaaS per [caso d’uso]?”. ChatGPT fornisce liste di criteri (es. integrazione, compliance, costi, user experience) e possibili trade-off, aiutando il team a formalizzare le esigenze interne. Questo li prepara a valutare i vendor con maggiore cognizione di causa. Come notato, “i buyer potrebbero non sapere ciò che non sanno” riguardo alle soluzioni disponibili; l’AI può quindi fungere da tutor, evidenziando aspetti che altrimenti il buyer avrebbe trascurato.
Va evidenziato che queste interazioni con l’AI generano segnali d’intento molto preziosi, perché rivelano esattamente cosa sta cercando l’acquirente (es. le domande poste all’AI riflettono dubbi e priorità). Tuttavia, al momento questi insight restano nelle mani del buyer e dell’AI, e i venditori umani non vi hanno accesso diretto. Ciò sta spingendo alcune aziende a pensare a “agent” AI che fungano da intermediari – ad esempio chatbot avanzati nei quali confluiscono sia le domande dei buyer sia le informazioni dei vendor – per ridurre questo gap informativo e rendere le interazioni ancora più fluide.
Segnali concreti del cambiamento
Questa transizione dall’era SEO all’era AIO (AI Optimization) non è teoria, ma realtà già osservabile. Numerosi indicatori mostrano uno spostamento dell’attenzione dalle piattaforme tradizionali ai canali AI:
- Calo di traffico sui portali di recensioni B2B: G2 (uno dei maggiori siti di review software) ha perso oltre il 50% del suo traffico organico nei due anni successivi al lancio di ChatGPT. Questa contrazione significativa – riportata da esperti come Elena Verna – suggerisce che molti utenti ora ottengono i confronti di prodotto direttamente via AI, invece di visitare siti di recensioni.
- Forum tecnici in difficoltà: Stack Overflow, storica community per sviluppatori, ha visto il suo traffico “precipitare” parallelamente all’abitudine dei developer di chiedere soluzioni di coding direttamente a ChatGPT invece di cercare tra thread esistenti. In altre parole, gli sviluppatori preferiscono un aiuto immediato dall’AI anziché navigare pagine web.
- Nuovi player alimentati dall’AI: Startup emergenti come StackAI stanno beneficiando di questo trend. StackAI (una giovane startup nel campo knowledge base) riceve oggi più traffico in ingresso da piattaforme AI che da Google, confermando che posizionarsi nelle risposte di ChatGPT o Perplexity può generare un flusso significativo di utenti qualificati.
- Erosione del traffico per i campioni del content marketing: Aziende un tempo dominanti nella SEO come HubSpot, Figma e Canva registrano un declino del traffico organico. Non perché i loro contenuti siano diventati meno validi, ma perché le risposte fornite dall’AI spesso soddisfano l’utente senza bisogno di cliccare sul sito. Ad esempio, molte delle dettagliate guide di HubSpot ora vengono sintetizzate direttamente da assistenti AI, riducendo le visite al blog aziendale. Allo stesso modo, le query su design e grafica trovano risposta nelle piattaforme AI attingendo ai contenuti di Canva e Figma, prima che l’utente decida di visitare i loro siti.
Questi segnali delineano un quadro chiaro: gli algoritmi AI stanno diventando intermediari chiave tra i content creator e il pubblico finale. Il vecchio modello dei “10 link blu” su una SERP sta lasciando il passo a una singola risposta generata dall’AI, che attinge da molte fonti senza necessariamente portare traffico diretto.
Implicazioni per content marketer e team SEO
Per i team di marketing e SEO, l’ascesa degli assistenti AI comporta impatti operativi significativi. Le strategie tradizionali vanno riviste alla luce di come l’AI seleziona e presenta i contenuti. In particolare:
La SEO tradizionale non basta più: Affidarsi esclusivamente alle tattiche SEO classiche (keyword, backlink, snippet) è diventato limitante. Il modello tradizionale della SERP con dieci risultati cliccabili sta perdendo centralità.
L’AI svolge ora gran parte del lavoro di scoperta delle informazioni al posto dell’utente, quindi è fondamentale ottimizzare i contenuti affinché siano scelti e utilizzati dai modelli LLM, non solo per piacere agli algoritmi di Google. In breve, comparire nelle risposte AI sta diventando importante quanto (se non più di) posizionarsi in prima pagina su Google.
- Strategia di inbound marketing da ripensare: Se il primo touchpoint informativo è un assistente AI, la classica strategia inbound va adattata. Occorre chiedersi: le nostre risorse (blog, white paper, FAQ) sono progettate per essere comprese e riproposte dalle AI? Ad esempio, potremmo dover riscrivere o ristrutturare molti contenuti perché siano in un formato AI-friendly. Un semplice articolo di blog potrebbe necessitare di sezioni Q&A, definizioni chiare e dati evidenziati per emergere in una risposta generata.
- Allineare il product marketing al linguaggio delle AI: I team di prodotto e marketing devono considerare che la descrizione del prodotto data dagli LLM potrebbe differire dal messaggio ufficiale. È opportuno verificare come gli AI presentano il nostro prodotto o servizio, e assicurarsi che le informazioni chiave (proposte di valore, differenziatori, pricing) siano espresse chiaramente nei contenuti disponibili, in modo che il modello le riprenda fedelmente. Questo può significare aggiornare documentazione, pagine FAQ e schede prodotto con un linguaggio più neutro e orientato ai fatti.
- Il funnel di acquisizione si sposta a monte: In un modello product-led growth (PLG), eravamo abituati a considerare l’inizio del funnel un clic su un blog post o una visita al sito. Ora, invece, il funnel può iniziare direttamente da un prompt. L’utente formula una domanda all’AI e potrebbe ricevere come output un consiglio di provare il vostro prodotto, con un link diretto. Ciò rende fondamentale essere presenti nelle risposte AI come prima tappa del customer journey.
- Nuovi KPI e metodi di misurazione: Con l’AI che intermedia le ricerche, metriche puramente quantitative come il traffico organico grezzo perdono parte del loro significato. Bisogna introdurre nuovi KPI, ad esempio: “Per quali prompt un assistente AI cita la nostra azienda o i nostri contenuti?”. Un indicatore chiave diventa la visibilità all’interno delle risposte generate dall’AI. In pratica, il content team dovrebbe monitorare (anche manualmente) cosa succede chiedendo a ChatGPT o Claude informazioni sul proprio settore: compariamo nelle risposte? Veniamo consigliati? Se no, occorre intervenire creando contenuti mirati a colmare quel vuoto.
In sintesi, marketing e SEO devono evolvere in ottica “AI-first”. Chi continuerà a produrre contenuti ignorando questo shift rischia un brusco calo di efficacia e perdita di visibilità, man mano che l’AI diventa il filtro primario attraverso cui i clienti scoprono prodotti e soluzioni.
AIO: la nuova frontiera dell’ottimizzazione dei contenuti
Per far fronte a questo scenario nasce il concetto di AIO (AI Optimization), ossia l’ottimizzazione per l’intelligenza artificiale. Coniato da vari esperti tech (come il venture capitalist Tomasz Tunguz), AIO indica l’insieme di pratiche per rendere i contenuti appetibili e utilizzabili dagli assistenti AI nelle loro risposte. In pratica significa creare contenuti che un modello AI possa comprendere facilmente, ritenere affidabili e quindi citare o riassumere quando risponde a una domanda dell’utente.
Vale la pena sottolineare che l’AIO non è la “fine” della SEO, ma la sua evoluzione naturale nell’era dell’intelligenza artificiale. Se la SEO tradizionale puntava a farci comparire tra i primi risultati di Google, l’AIO punta a farci comparire tra le prime fonti richiamate da un ChatGPT o un Claude. In altri termini, possiamo pensare agli LLM come ai “nuovi motori di ricerca” e al loro algoritmo di generazione come al nuovo algoritmo di ranking. Se un nostro contenuto non viene “visto” e utilizzato dalle AI, è come se non esistesse per gran parte del pubblico. Come sintetizza efficacemente Erik Wikander, “le aziende devono ora ottimizzare per l’aggregazione da parte dell’AI, non per gli occhi umani”.
Questa nuova frontiera implica un cambiamento di mindset simile a quello avvenuto con il mobile-first: quando gli smartphone divennero il mezzo principale di navigazione, abbiamo ripensato design e contenuti per adattarci. Allo stesso modo, “AI-first” diventa il principio guida per i contenuti oggi. L’AI è la nuova homepage da presidiare, la prima impressione che un potenziale cliente avrà del nostro brand. Adottare l’AIO significa assicurarsi che quella prima impressione – fornita da un assistente artificiale – rappresenti al meglio la nostra offerta, con accuratezza e rilevanza.
Adattare la strategia di contenuto all’era AIO
Come può un content strategist B2B operativamente abbracciare l’AIO? Di seguito proponiamo alcune linee guida pratiche (relative a struttura, tono, formato e dati dei contenuti) per riallineare la strategia editoriale al nuovo contesto:
Struttura dei contenuti
- Organizza l’informazione in modo schematico e interrogabile: privilegia formati che le AI digeriscono facilmente, come elenchi puntati, tabelle comparative e sezioni FAQ strutturate per domanda e risposta. Ad esempio, invece di un lungo paragrafo discorsivo, utilizza sottotitoli che riflettono precise domande (es. *“Meglio Salesforce o HubSpot per una startup?”) e fornisci la risposta immediatamente sotto. Ciò aiuta sia il lettore umano sia l’algoritmo AI a individuare rapidamente le informazioni chiave.
- Formato leggibile dalle macchine: assicurati che i contenuti siano facilmente crawlable e parseabili. Evita il più possibile PDF, infografiche non testuali o layout complessi; opta invece per HTML pulito, Markdown o testi con marcatura semantica chiara. Più il contenuto è “pulito” (privo di elementi che un parser AI potrebbe ignorare), più aumenta la probabilità che l’AI lo incorpori nelle sue elaborazioni. Inoltre, considera l’uso di markup strutturati (come schema.org) per evidenziare elementi importanti (definizioni, recensioni, prezzi) in modo che siano riconoscibili sia dai motori di ricerca tradizionali sia dagli algoritmi di AI.
Tono e linguaggio
- Chiarezza e specificità prima di tutto: adotta un linguaggio chiaro, semplice e il più possibile privo di ambiguità. Evita gergo aziendale, metafore elaborate o giochi di parole e privilegia formulazioni dirette e fattuali. Gli LLM “apprezzano” testi dal tono informativo e oggettivo, perché sono più facili da interpretare e trasformare in risposte utili. Ad esempio, invece di: “La nostra soluzione CRM è un vero game-changer per le PMI” (frase promozionale generica), meglio: “Il nostro CRM offre funzionalità X e Y pensate per le esigenze delle PMI, con prezzi adatti a un team di 10-50 persone”.
- Rispondi alle domande senza giri di parole: quando affronti un argomento, assicurati di fornire subito la risposta o il takeaway principale. Evita introduzioni troppo lunghe o digressioni non necessarie. Se l’utente (o l’AI) chiede “come fare X?”, il tuo contenuto dovrebbe avere un paragrafo o sezione intitolata “Come fare X” con la procedura spiegata punto per punto. Questo approccio straight-to-the-point migliora la fruibilità e aumenta le chance che l’AI selezioni proprio il tuo testo per formulare la risposta.
Formato e accessibilità
- Contenuti aperti e liberamente accessibili: considera l’impatto delle barriere di accesso. Se le tue risorse migliori sono nascoste dietro form di registrazione, paywall o sono disponibili solo su richiesta, le AI open non potranno raggiungerle e quindi non le includeranno nel loro training o nelle ricerche in tempo reale. Valuta l’adozione di licenze aperte (ad es. Creative Commons) per alcuni contenuti informativi, oppure crea versioni pubbliche di documenti chiave, così da renderli indicizzabili e utilizzabili dagli LLM. L’obiettivo è trovare un equilibrio tra lead generation e visibilità AI: ad esempio, potresti pubblicare estratti o sintesi di white paper gated, offrendo comunque agli assistenti AI abbastanza materiale da “imparare” che la tua azienda possiede competenze approfondite in un dato tema.
- Formato multicanale e standard: oltre al testo, pensa a fornire feed o dataset che possano essere agganciati facilmente. Ad esempio, un database di benchmark o uno studio in formato CSV/JSON pubblicato sul tuo sito potrebbe essere inglobato nei futuri modelli o citato da tool come WolframAlpha. Anche rendere disponibile un’API pubblica con alcune informazioni chiave sul tuo prodotto/servizio potrebbe aumentare la tua esposizione nell’ecosistema AI. In sintesi, più standard e machine-friendly è il formato dei tuoi contenuti, maggiore è la probabilità che l’AI li inglobi nelle sue risposte.
Dati e profondità dei contenuti
- Inserisci dati concreti, esempi e casi d’uso: nell’era AIO, i contenuti che contengono cifre e informazioni verificabili ottengono un peso maggiore. Includi quindi statistiche, risultati di ricerche interne, confronti diretti tra soluzioni, indicazioni di prezzo, ecc. nei tuoi articoli. Ad esempio, se scrivi di software CRM, fornisci una tabella comparativa con funzionalità e costi delle diverse opzioni. Questi dettagli tangibili non solo aiutano il lettore umano, ma forniscono materiale prezioso che l’AI può citare direttamente nelle risposte (magari menzionando proprio la tua azienda come fonte).
- Punta su contenuti originali e approfonditi: gli LLM tendono a dare maggior rilievo a contenuti ricchi di insight rispetto a testi generici. Se il tuo blog offre semplici nozioni di base reperibili ovunque, un’AI potrebbe preferire sintetizzarle da Wikipedia o da altre fonti più consolidate. Viceversa, se pubblichi analisi approfondite, studi proprietari, casi di successo dettagliati, avrai più chance che quei contenuti emergano come unici e vengano aggregati dall’AI. In pratica, la profondità batte la superficialità: un articolo di 2000 parole pieno di esempi pratici e dati avrà più valore, agli occhi di un modello AI, di un post breve e generico sullo stesso tema. Inoltre, presentando idee o dati originali (che non esistono altrove sul web) ti posizioni come fonte autorevole: l’assistente AI, non trovando alternative, sarà costretto a rifarsi al tuo contributo citandolo nelle risposte.
Seguendo queste linee guida, i team di contenuti possono iniziare a riallineare la produzione editoriale con il paradigma emergente dell’AIO. Si tratta di un processo graduale di ottimizzazione e aggiustamento: pensare in termini di prompt, scrivere in modo da aiutare le AI ad aiutarci, e quindi ottenere visibilità “indiretta” presso gli utenti finali che oggi passa sempre più dai canali AI.
Idee per titoli e call to action per diversi canali
Infine, è importante considerare come comunicare e distribuire questi messaggi sui vari canali, adattando sia il titolo sia la call to action (CTA) allo stile e al pubblico di ciascuna piattaforma:
- LinkedIn: su questo canale professionale un post potrebbe avere un taglio provocatorio o interrogativo per stimolare la discussione. Esempio titolo: “SEO vs AIO: la tua strategia di contenuto è pronta per l’era dell’AI?”. Una CTA efficace qui potrebbe incoraggiare il coinvolgimento diretto dei lettori, ad esempio: “Facci sapere nei commenti come stai adattando i tuoi contenuti all’avvento di ChatGPT e soci”. Questo invito trasforma il post in una conversazione aperta tra pari, adatta al contesto LinkedIn, e aumenta la visibilità grazie all’engagement.
- Blog aziendale: per un articolo sul blog, è preferibile un titolo chiaro e descrittivo che evidenzi il beneficio per il lettore. Esempio titolo: “Dal SEO all’AIO: come l’Intelligenza Artificiale sta rivoluzionando il B2B marketing (e come adeguare la tua strategia)”. In questo contesto, la CTA potrebbe invitare ad approfondire o a compiere un passo successivo informativo: ad esempio “Scarica la guida completa sull’AI Optimization” oppure “Iscriviti al webinar per scoprire strategie AIO vincenti”. L’obiettivo è offrire risorse aggiuntive a chi ha trovato utile il contenuto, alimentando il funnel inbound.
- Newsletter: in una newsletter B2B rivolta a senior leader, un oggetto accattivante potrebbe essere fondamentale. Esempio subject: “SEO è (quasi) morta? L’ascesa dell’AI nei processi di ricerca B2B”. All’interno della newsletter, dopo aver riassunto i punti chiave, la CTA potrebbe incoraggiare il lettore ad agire o interagire, ad esempio: “Condividi questo insight con il tuo team” oppure “Rispondi a questa email raccontandoci la tua esperienza con gli strumenti AI”. Questo tipo di call to action rende la comunicazione più personale (il lettore sente di poter dare feedback diretto) e al tempo stesso amplia la diffusione del messaggio all’interno dell’organizzazione.
Utilizzando titoli mirati e CTA adeguate per ogni canale, è possibile massimizzare l’impatto dei contenuti sull’audience B2B. LinkedIn favorisce il dialogo e il networking, il blog aziendale consolida l’autorevolezza e genera contatti qualificati, la newsletter coltiva il rapporto diretto e la fidelizzazione. Adattare il messaggio a ciascuno di essi assicura che le idee – dalla transizione SEO→AIO alle best practice operative – raggiungano effettivamente il pubblico giusto nel modo più efficace.