L’OICE è un’iniziativa che, prima come professionista e poi, dopo aver condiviso il progetto con i miei soci e colleghi, come azienda, ho fortemente voluto e in cui ho creduto sin dal primo momento.
Vorrei infatti esprimere orgoglio e gratitudine nei confronti del gruppo di lavoro che ha messo in piedi e portato avanti un progetto “ambizioso” e di valore per il nostro territorio e per tutto l’ecosistema produttivo.
Oggi, quando ci guardiamo indietro di 16 mesi, tornando a prima della pandemia, abbiamo la sensazione che tutto sia stato stravolto. Il mondo, le dinamiche sociali, per come le conoscevamo, si sono totalmente ribaltate e i paradigmi sono saltati.
Oggi, a ottobre 2021, si potrebbe avere l’idea che il cambiamento sia stato compiuto e che la velocità evolutiva tornerà ai ritmi precedenti. In realtà, però, il processo di cambiamento è inarrestabile, ed è solo all’inizio.
I soggetti che per decenni sono rimasti indietro, in attesa di valutare l’adozione del digital, sperando o aspettando che determinate dinamiche fossero più chiare, hanno dovuto ripensare il proprio modello di business in maniera repentina, per far fronte a un cambiamento epocale, che rischiava di sopraffarli.
Anche grazie all’OICE possiamo testimoniare questo cambiamento epocale e fare la nostra parte per aiutare le PMI a ottenere il meglio per il proprio business, sotto forma di informazioni e cultura, da ciò che troppo spesso viene semplificato (senza spiegarlo, né comprenderlo a fondo) con il termine di “digital transformation”.
I dati parlano chiaro: sono cresciute del 50% quest’anno, le aziende che in Italia vendono esclusivamente online; e le aziende che vendono cross medialmente (sia utilizzando online che offline) sono passate dal 9% al 17,2%. Le aziende vanno dove possono generare profitti e, se per mesi i clienti sono rimasti bloccati in casa e, in quel periodo, hanno dovuto modificare le proprie abitudini di acquisto, si è reso necessario favorire il nuovo scenario. Nei primi mesi della pandemia, i consumatori hanno speso online il 24% in più rispetto all’anno precedente.
Il 75% delle persone che hanno comprato online, non lo avevano mai fatto prima.
I comparti che sono andati meglio, sono in prima linea la salute e bellezza, food & beverage e l’abbigliamento. Per approfondire la natura di questo cambiamento e il reale impatto business generato attraverso le digitalizzazione delle imprese del territorio, abbiamo deciso di promuovere la prima ricerca dell’Osservatorio Italiano per il Commercio Elettronico delle PMI.
Quali sono le prime assunzioni che abbiamo rilevato?
In primis, che il digital c’è, ma spesso non si vede, molto più spesso lo si comprende a fatica.
Quasi il totale del campione intervistato possiede almeno un asset digitale, spesso un sito web. I siti ci sono, perché ci devono essere, ma vengono progettati su logiche spesso anacronistiche, non immaginati per un uso in mobilità. Le performance povere e la scarsa responsività sono segnali che confermano la mancanza di sensibilità da parte dei manager e delle imprese che intendono dotarsi di un asset digitale al passo con i tempi..
Quando si passa a mappare le azioni di promozione implementate, ecco che si può osservare la mancanza di consapevolezza e di metodologia strategica. In primis, sui contenuti e sulla conseguente creazione di valore. Ancora oggi le aziende devono fare uno sforzo per comprendere la necessità strategica di disegnare, sviluppare, ottimizzare e monitorare un asset digitale importante come il proprio sito web in sinergia con un partner esterno, che sappia evidenziare i punti di forza, di criticità e di attenzione per costruire un percorso digital di successo.
Spesso le aziende si fermano a vedere il proprio sito web come una versione multimedializzata del proprio press kit, quando invece il sito web dovrebbe essere il centro di una strategia digitale di comunicazione, di marketing e di posizionamento che migliora il percepito aziendale e la comunicazione con i propri stakeholder.
I consumatori, così come i buyer nel B2B, quando devono modificare i comportamenti di acquisto per valutare un nuovo prodotto o un nuovo fornitore, si informano attraverso risorse editoriali che la maggior parte delle volte provengono dal digital asset dell’azienda promotrice. Cercano risorse di valore e si aspettano di essere accompagnati dalla fase della scoperta, sino al momento dell’acquisto. Senza parlare di ciò che dovrebbe avvenire dopo il momento di conversione, per consolidare la relazione con il cliente e facilitare la trasformazione in “fan” o “brand ambassador”, in modo che esso possa fidelizzarsi e generare nuove opportunità.
Ciò detto, si legge dalla ricerca che il 71% del campione analizzato non adotta alcuna strategia di content né attraverso il proprio sito né per mezzo di altri asset digitali, rendendo evidente da un lato il desiderio di promuovere la propria attività attraverso i canali digitali, ma dall’altro lato dimostrando l’incapacità di interpretare le regole e le best practice del mondo digital, rendendo dunque spesso inefficaci le proprie attività di promozione e di digital marketing.
La ricerca dell’OICE mappa, canale per canale, lo stato dell’arte del digital a metà del 2021 sul territorio nord italiano e scandaglia le mancanze di cultura necessarie a perseguire un “full digital potential”. Spesso manca l’ottimizzazione dei contenuti per facilitarne la trovabilità all’interno dei motori di ricerca; l’allocazione di budget molte volte non segue nessuna ratio rivolta al ritorno dell’investimento; l’email marketing viene usato al massimo per mandare gli auguri di natale e comunicare la chiusura aziendale ad agosto quando invece dovrebbe essere uno strumento con cui segmentare la comunicazione della propria audience.
E infine i social, storicamente utilizzati come flusso comunicativo unidirezionale, oggi rappresentano una grande opportunità per creare un legame, da rafforzare nel tempo, con il proprio mercato. Il tempo trascorso online sta tendenzialmente aumentando, ed è per questo motivo che diventa sempre più strategico costruire una presenza relazionale online forte, trasparente e credibile, comprendendo in profondità che i messaggi broadcast, così come la comunicazione monodirezionale, non rappresentano più un modello attraente (ed efficace) per interlocutori.
Il mondo si sta digitalizzando. L’Italia si sta digitalizzando. Ne sono testimonianze i balzi evolutivi fatti in poco tempo a livello infrastrutturale: i pagamenti cashless, lo spid, la dematerializzazione della Sanità, i sistemi di messaggistica istantanea e, più in generale, la quantità di app, dati, servizi disponibili direttamente nello smartphone per digitalizzare ciò che prima si faceva con metodi e processi tradizionali.
Se da una parte, i consumatori hanno la possibilità di ottenere di più, in qualsiasi momento, senza necessariamente dover utilizzare un PC, dall’altra le aziende, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, muovono ancora investimenti timidi e spesso in ritardo. Questo ritardo potrebbe essere fatale, proprio perché in tutti gli altri paesi il percorso di digitalizzazione è già in atto da tempo, i mercati stranieri, competitivi e verso la saturazione, iniziano con interesse e una certa golosità a guardare quelli non ancora maturi, come il nostro.
Più di un settore, in Italia, negli ultimi anni ha visto un cambio di leader. Qualcuno che è riuscito a imporre la propria presenza, entrando in un mercato attraverso l’ingresso (ritenuto) secondario, rappresentato dai nuovi canali, nuovi strumenti e nuovi modelli di business che affondano le loro radici del digital.
Nella ricerca abbiamo infatti rilevato il desiderio e il bisogno di digitalizzazione da parte di tutti gli stakeholder. Quasi l’80% intende avviare un piano di sviluppo strategico digitale. Le motivazioni spaziano dal percepire che sia giunto il momento giusto per digitalizzare le aziende; perché magari in azienda è in atto un cambio generazionale; oppure perché si pensa al digital come “scialuppa” di salvataggio per compensare crisi in altri canali distributivi; infine perché lo stanno facendo i competitor e ci si vuole allineare alla concorrenza.
Senz’altro la parte difficile rimane individuare il partner giusto con cui ideare, operare e monitorare i propri processi di digital transformation e di implementazione del digitale all’interno dei processi produttivi, di comunicazione e di marketing. Se è vero che manca cultura digitale nelle aziende, è purtroppo altrettanto vero che questa spesso, purtroppo, viene meno anche quando si parla anche ai “player”, che si propongono di supportare i propri clienti nella transizione online.
Agenzie troppo verticali ipersemplificano un contesto naturalmente complesso e multidisciplinare, vendono singoli servizi come fosse la panacea di ogni male. Liberi professionisti che non rimangono al passo con i cambiamenti in atto fermandosi a tecnologie già superate. Aziende incapaci di assumere in azienda collaboratori con le giuste competenze, in grado di far intraprendere il corretto percorso di trasformazione digitale. Questi aspetti critici che emergono dalla ricerca, in larga parte, possono essere confermati dalla percezione empirica che rileviamo quotidianamente nel confronto con i nostri clienti.
È necessario un cambio di passo nel miglioramento delle competenze di chi opera nel campo del digital, così come è vitale che le aziende stesse diventino più consapevoli, aumentando le conoscenze interne e/o ingaggiando partner più preparati e competenti.
La sfida digital è in atto, e si gioca con regole e velocità non ancora comprese da tutti. Ma noi siamo qui per fare chiarezza e offrire alle aziende un partner strategico, tecnico e culturale per affrontare la digital transformation con serenità, successo ed entusiasmo.
Attraverso L’OICE intendiamo fare chiarezza e cultura sul territorio.
Questo è l’inizio di un’avventura che speriamo coinvolga il maggior numero di attori sul territorio per portare finalmente la rivoluzione digitale, quella buona, nel paese più bello del mondo!